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Le vetrine sgargianti dei negozi, i mille divertimentifici, gli sprazzi illusori delle pubblicità inneggiano alla vita. Nell’antichità eravamo più abituati alla morte. Il motivo più semplice è che oggi i progressi della medicina hanno allungato la vita. Nel medioevo invece c’era addirittura l’ars moriendi, ovvero l’arte di morire. Leggevo recentemente che secondo una ricerca di sociologia della morte l’uomo moderno pensa alla propria scomparsa circa quattro o cinque volte alla settimana. Oggi la morte in tutti i suoi aspetti ci coglie alla sprovvista. La rimuoviamo continuamente dai pensieri. Ci coglie impreparati. Non ne parliamo mai. La morte è un mistero, che ti coglie in tutta la sua brutalità. All’improvviso vedi una persona, che fino all’altro ieri parlava e scherzava, sigillata, interrata. La filosofia non ci aiuta. La filosofia come qualsiasi altra disciplina umana si trova inadeguata rispetto ad una tematica così importante. La morte su cui riflette la filosofia non è una morte che odora di cadavere. E’ una morte astratta, che si dimentica dell’esperienza concreta del morire e dell’esperienza concreta di veder morire chi conosciamo. Heidegger e gli esistenzialisti servono a ben poco !!! E forse ci sentiamo più soli e più insicuri di fronte a questo evento, perchè abbiamo perso il senso del sacro. Io sono un laico, perchè ritengo che senza il pensiero laico prenderebbero il sopravvento gli integralismi di tutte le religioni. Però riconosco che chi è profondamente e veramente religioso riesce a convivere meglio con l’idea della morte. In questi giorni ho riletto la morte di Ivan Il’ic di Tolstoj. E’ uno dei pochi libri che aiuta a riflettere sulla precarietà dell’esistenza. C’è un brano di questo libro in cui Tolstoj scrive che per il protagonista il sillogismo – Caio è un uomo, gli uomini sono mortali, quindi anche Caio è mortale- era semplice concettualmente da afferrare, ma solo pensando a Caio e non a se stesso. Infatti è il sillogismo più facile che ci sia per la fredda ragione, ma non per la propria sensibilità ed umanità, che fatica ad accettarlo. In fondo c’è una parte di noi stessi, che si crede immortale. Secondo il nostro inconscio, la parte più antica e profonda di noi stessi, noi siamo immortali. Ognuno, se fa un sogno in cui cade da un precipizio, si sveglia subito di soprassalto, perchè l’inconscio(che è la regia dei nostri sogni) non accetta la mortalità. Dobbiamo lottare anche contro l’inconscio per convivere meglio con l’idea della nostra morte.
Davide Morelli – Pontedera